mercoledì 25 aprile 2007

L’incisione nel '500 a Roma

Nel 1500 con la diffusione della carta si incrementa la produzione libraria, i formati dei volumi si ottengono con la piegatura del foglio: in folio, in quarto, in ottavo…..
I libri hanno il testo disposto su due colonne come nelle cinquecentine.
L’editore e stampatore Aldo Manunzio, a Venezia nel 1501, rivoluziona il carattere introducendo il corsivo o italico, disegnato dall’incisore Francesco Griffo.
La stampa, considerata un’arte minore, possiede invece tutti i canoni della creazione artistica, nasce l’incisione d’arte che illustra la vita, i fasti, le miserie, i mestieri e i costumi ed è una delle fonti di informazione che abbiamo per ricostruire il passato.
La nuova tecnica permette di divulgare le opere dei maggiori artisti ma anche di far conoscere le antichità.A Roma i Papi usano l’arte incisoria per propagandare le grandezze, i rifacimenti e gli abbellimenti da loro effettuati.
Il frontespizio diventa la pagina più importante del libro, perché lo identifica.
Alla fine del quattrocento e più diffusamente nel cinquecento,in concomitanza con gli anni santi, appaiono le prime guide stampate con illustrazioni. La più famosa “Le cose maravigliose dell’alma città di Roma “, fornisce la descrizione più aderente alla realtà dei principali monumenti antichi e moderni. Contiene inoltre gli itinerari di visita alle sette chiese e agli altri santuari, con le informazioni sulle esposizioni delle reliquie e brevi notizie storiche.
Redatta inizialmente in lingua latina, poi in italiano, gode di larghissima diffusione; avrà numerose riedizioni e con varie modifiche e aggiunte sarà pubblicata fino ad oltre la metà del XVII secolo. E’ composta da numerose piccole immagini in xilografia prima e ad acquaforte poi. Le prime rappresentano le Basiliche maggiori, vengono poi le basiliche inferiori, le chiese e i monumenti più importanti, il tutto eseguito in uno stile piuttosto rozzo ed elementare fatto per permettere al pellegrino una facile comprensione ed individuazione.
Il sacco di Roma interrompe e disperde l’attività degli incisori, costretti ad abbandonare la città per non rischiare di perdere la vita.
Ne è esempio l’incisore Marco Dente che lavora nell’atelier di Marcantonio Raimondi 1475-1534, noto traduttore delle opere di Raffaello. E’ merito del Raimondi se l’arte italiana è conosciuta in Europa. E’ anche l’ideatore degli elementi del frontespizio, ne progetta la composizione e introduce il ritratto su sfondo architettonico.
Durante le razzie dei lanzichenecchi, le botteghe artistiche vengono saccheggiate e i rami lesionati o fusi per farne proiettili. Questo sconvolgimento, se da un lato interrompe bruscamente un così fiorente commercio, dall’altro favorisce l’affermarsi dell’incisione in altri luoghi, centri artistici pronti ormai ad ereditarne l’attività.
Malgrado le difficoltà, turisti e pellegrini riprendono a tornare e l’artigianato si ricostituisce. Pochi anni dopo il Sacco, si riorganizza un fiorente commercio di stampe ad opera degli editori Tommaso Barlacchi e Antonio Salamanca.
Intorno al 1540 si ristampano i vecchi rami di riproduzione di opere pittoriche e si incidono nuovi soggetti, orientando la produzione verso la mitologia e il classico o verso il filone illustrativo dei luoghi e dei monumenti di Roma.
Si inaugura così il genere della veduta, venendo incontro ai gusti del pubblico.
Il Salamanca, milanese di origine, ma a Roma dal 1530 circa, chiama nella sua bottega artisti fra i quali Enea Vico, il lorenese Nicolas Béatrizet, Agostino Musi o Veneziano, iniziando la serie delle immagini di antichità romane. Recupera e restaura le matrici del Raimondi e dà il via a quella forma di commercio organizzato di scambio di rami che sarà la fortuna di numerosi stampatori ed editori italiani e stranieri stabilitasi a Roma.
Il Raimondi insieme al Barlacchi e ai veneti Michele e Francesco Tramezzini, incide immagini di traduzione e d’invenzione che vende nel suo laboratorio.
Queste botteghe si trovano preferibilmente nell’area del rione Parione, fra piazza Navona e Campo de’ fiori.
Sulle lastre incise o riedite compare sempre più di frequente il nome dell’artigiano accompagnato dalle sigle “exc o exudit” per gli stampatori e “formis “ per gli editori. I primi curano la stampa, i secondi sono coloro che pagano gli artisti per realizzare le lastre incise, poi si occupano della vendita.
Una svolta si ha con l’arrivo a Roma del francese Antoine Lafréry 1512-1577, che diverrà il più importante editore romano della sua epoca. Raccoglie il maggior numero di lastre in circolazione, promuove una nuova serie di incisioni e apre fin dagli anni ’40 una stamperia in via di Parione.
Gli amatori che comprano le sue stampe hanno in omaggio una cartella personalizzata per contenerle e sulla copertina una scritta con la parola “ specchio “speculum. Nello specchio era il volto di Roma.
E’ infatti grazie a lui che viene stampato lo “ Speculum Romanae Magnificentiae “,il libro più importante del suo periodo nell’illustrare la bellezza di Roma.
Si affermano le carte lafreriane, chiamate così dal nome del loro autore, che nel 1533 fa un sodalizio con Antonio Salamanca che ha una bottega a Campo de’ fiori.
Dall’unione dei due stampatori nasce la più grande cartografia del secolo. Per la prima volta si disegnano le piante della città su rilievi reali e la si rappresenta con una nuova prospettiva chiamata “ a volo d’uccello,” dando ai monumenti una visione……
Alla morte del Salamanca, Lafréry ne rileva la quota dagli eredi, entrando in possesso dell’intera collezione. Si viene così a creare la più ricca concentrazione di matrici calcografiche dell’epoca.
Con le nuove lastre che fa incidere agli artisti più importanti del periodo,
quali il Béatrizet, Giovan Battista Cavalieri, Stefano Du Perac, Giulio Bonasone, Jacopo Lauro ed altri, l’editore inizia la produzione di stampe in serie col titolo “ Speculum Romanae Magnificentiae “. Questa opera viene divulgata dal 1567 in poi e prodotta negli anni con aggiunte e modifiche dai suoi eredi. Il volume si apre con le piante di Roma antica e moderna proseguendo poi con i monumenti romani: il Campidoglio, palazzo Farnese, la Basilica di S. Pietro, oltre alle statue e alle ricostruzioni fantastiche e architettoniche della città antica: Colosseo, Pantheon, Teatro di Marcello, archi trionfali. Seguono le allegorie, le monete e la rappresentazione di alcuni avvenimenti pubblici di grande importanza.
Alla morte del Lafréry tutto il materiale passa in eredità al nipote Claudio Duchet che ne continua l’impresa e poi agli eredi. La collezione completa passa di mano in mano attraverso tutto il ‘600: Giovanni Orlandi, Nicola Van Aelst e Hendrick Van Schoel, per giungere nelle mani degli editori De Rossi. L’ultimo, vende a Papa Clemente l’intera collezione delle lastre incise che sarà la base della Calcografia Camerale.
A causa dei vari passaggi di proprietà dei rami e della continua attualità dei temi, nel corso del tempo si sono avute numerose riedizioni degli stessi soggetti, curate dall’editore che possedeva le lastre. Questi, di volta in volta modificava le iscrizioni sotto l’impressione, permettendoci così di riconoscere le varie edizioni.
Etienne du Perac giunge a Roma verso il 1559, dove il Lafréry pubblica le sue opere. E’ autore dei disegni delle sue incisioni: vedute, ricostruzioni di monumenti antichi, resti archeologici, soggetti sacri, avvenimenti di cronaca. Le più note sono: un torneo svoltosi nel cortile del Belvedere in Vaticano, il frontespizio dello Speculum….,tre immagini della basilica di S. Pietro da disegni di Michelangelo, l’udienza papale concessa a Cosimo 1° de’ Medici. L’insieme ci offre l’immagine di una Roma sospesa tra quartieri medioevali , rovine, palazzi rinascimentali tra cui si aggirano pastori con greggi e pellegrini, i cavalieri si sfidano nei giardini vaticani e il popolo festeggia a Castel S. Angelo.
Hendrick van Cleef 1524-1589, è allievo di Frans Floris, il maestro fiammingo caposcuola dei “ romanisti “. Viene a Roma dove disegna dal vero vedute e rovine che danno vita a “Ruinarum Vari Prospectus……in 38 fogli.
Tempesta nel 1593 incide una “ Pianta di Roma “ così dettagliata che diviene il modello ideale per tutte le piante successive fino a quella del Falda del 1667, sintesi di completezza di visione, ricopiata più volte nel 1697-1705-1730-1756 e ripresa dal Vasi nel 1781.

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